“Il tema delle donne mi ha sempre affascinato tantissimo. Mi sono laureata ad aprile e ho impostato la mia tesi sulla violenza contro le donne, argomento che mi interessa molto”, ha esordito Mary Mendolia nel presentare la sua ricerca su “Parità, intersex e discriminazione nel mondo dello sport femminile”.
#discriminazione è la parola chiave che, come un filo rosso, lega i racconti di donne che non si sono arrese.
Dall’atleta americana Babe Didrikson alla tennista e arciera britannica Lottie Dod. Dall’olandese Fanny Blankers-Koen, soprannominata “la mammina volante”, alla maratoneta Bobbi Gibb e Kathrine Virginia Switzer. Dalla tennista statunitense Billie Jean King alla runner etiope Derartu Tulu e alla nuotatrice siriana Yusra Mardini. Dalla cavallerizza danese Lis Hartel alla schermitrice italiana Bebe Vio. Dalla ginnasta Carlotta Ferlito alla pallavolista Paola Egonu. Da Imane Khelif a Lin Yu-ting, entrambe oro olimpico a Parigi 2024 nel pugilato, balzate agli onori delle cronache per controversie sul genere.
Da qui l’urgenza di promuovere una visione dello sport più inclusiva, che valorizzi ogni individuo per il suo impegno, il talento e la passione, al di là delle categorie rigide imposte dal genere. Lo sport dovrebbe essere un luogo di espressione libera, rispetto e uguaglianza, dove ogni persona possa sentirsi rappresentata e accettata. Solo così si potrà costruire un ambiente sportivo davvero equo e aperto a tutte e tutti